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VIDEO | Mafia, l’influenza dei clan catanesi sulle aste giudiziarie: 17 misure

BariVIDEO | Mafia, l’influenza dei clan catanesi sulle aste giudiziarie: 17 misure

PALERMO – Operazione antimafia condotta dai carabinieri tra le province di Catania, Siracusa e Teramo. L’ordinanza cautelare emessa dal gip del tribunale etneo riguarda 17 persone accusate a vario titolo di associazione mafiosa, associazione finalizzata al traffico di droga, spaccio, turbata libertà degli incanti con l’aggravante del metodo mafioso e corruzione. L’indagine, denominata ‘Athena’, è coordinata dalla Direzione distrettuale antimafia di Catania e condotta dai carabinieri della Compagnia di Paternò. Tutto è partito dalla denuncia di un imprenditore locale, minacciato da alcuni mafiosi che hanno cercato di farlo ritirare dalla vendita di un lotto di terreni all’asta. Le indagini, oltre alle dinamiche criminali e agli elementi di vertice del gruppo Morabito-Rapisarda, riconducibile al clan catanese dei Laudani operativo sul territorio di Paternò, hanno portato alla luce anche gli appetiti dell’organizzazione nel controllo sistematico delle aste giudiziarie di immobili, situati nelle province di Catania e Siracusa. Emblematico il modus operandi, che avrebbe previsto l’intervento fisico di sodali durante le procedure di vendita per allontanare anche con la violenza i partecipanti e garantire ai ‘clienti’ del clan l’acquisto o il rientro in possesso del bene.

Le aste andate ‘a buon fine’ avrebbero garantito all’organizzazione consistenti guadagni, condivisi anche con il gruppo degli Assinata, articolazione della famiglia di Cosa nostra catanese Santapaola-Ercolano, “a comprova – evidenziano i carabinieri – di un patto di coabitazione”. Coinvolto in una delle aste pilotate anche un avvocato siracusano, che in qualità di delegato alla vendita, nel corso di una procedura esecutiva giudiziaria, avrebbe favorito l’aggiudicazione di un appartamento al figlio di una persona che si era rivolta al clan mafioso. Tra le attività illecite dei Morabito-Rapisarda anche il traffico e lo spaccio al dettaglio di droga. Nel corso delle indagini sono stati infatti sequestrati complessivamente circa 71 chili di sostanza stupefacente tra marijuana e cocaina, e sono state arrestate otto persone in flagranza di reato.

Quindici dei 17 destinatari dell’ordinanza sono finiti in carcere, uno ai domiciliari. Per il diciassettesimo indagato è scattato il divieto di esercitare la professione di avvocato per un anno. Si tratta di un legale siracusano che svolgeva le funzioni di delegato alle vendite nelle aste. Dietro alla promessa di denaro, secondo l’ipotesi accusatoria, si sarebbe prestato per orientare l’aggiudicazione di un immobile all’asta. Il giro di affari, che coinvolgeva anche altre tipologie di operazioni immobiliari, avrebbe garantito consistenti guadagni, con compensi commisurati al valore del bene sul mercato immobiliare, che, di frequente, sarebbero stati condivisi, a riscontro dell’esistenza di un “patto di coabitazione” tra i Morabito-Rapisarda e il clan Assinata, articolazione territoriale della famiglia di cosa nostra catanese Santapaola-Ercolano.
I rapporti tra i due clan sarebbero stati agevolati da due delle persone indagate nei confronti delle quali il gip ha accolto la richiesta di applicazione della misura cautelare in carcere per concorso esterno in associazione mafiosa. Uno dei due, ex assessore del Comune di Paternò e imprenditore nel settore agrumicolo, oltre ad avere stabili rapporti di affari con esponenti di vertice del clan mafioso, avrebbe messo a disposizione della banda il proprio bagaglio di conoscenze e le proprie entrature nella politica locale. L’altro indagato, a sua volta imprenditore agricolo, avrebbe messo a disposizione il magazzino di cui è titolare per consentire incontri tra i rappresentanti delle due diverse famiglie mafiose paternesi.
I Morabito-Rapisarda sarebbero anche dediti al traffico di droga, soprattutto marijuana, con una struttura ben organizzata e delineata nella ripartizione dei singoli ruoli. Il clan aveva un’articolata rete di rapporti criminali sul territorio catanese che gli garantiva dei canali di approvvigionamento dello stupefacente proveniente da Catania e da Adrano. Il gruppo, inoltre, poteva disporre di basi logistiche per la custodia e per il confezionamento della droga, nonché di un immobile nel centro cittadino di Paternò dove veniva dato appuntamento agli acquirenti.

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