ROMA – “In Egitto ci sono migliaia di persone arrestate e scomparse nel nulla ma parlare di loro sui giornali internazionali aiuta a ritrovarli, perché il regime non vuole questo tipo di attenzione. Il caso del ricercatore dell’Università di Bologna Patrick Zaki in questo è stato di grande aiuto“. Ahmed Al-Attar è direttore dell’Egyptian Network For Human Rights (Enhr), organizzazione che segue oltre 120 casi di sparizioni forzate, “soprattutto giovani tra i 20 e i 30 anni, ma sono sicuramente migliaia: spesso le famiglie non parlano per paura di ritorsioni”. L’agenzia Dire lo intervista a poche ore da un flash mob online per Ahmed Suleiman Gika, che Al-Attar definisce “l’ultimo tra gli scomparsi: ben 55 giorni fa si è presentato all’ufficio della National security agency (Nsa) – i servizi segreti – e da allora nessuno ha più saputo nulla, neanche gli avvocati”. Per lui il gruppo di attivisti egiziani “Free Ahmed Gika” ha lanciato l’iniziativa “Where is Ahmed Gika?”, che invita gli utenti a partire dalle 20 (le 19 in Italia) a pubblicare sui social network una foto con su scritta questa domanda in inglese, arabo e/o italiano per spingere le autorità egiziane a dare sue notizie.
Al-Attar spiega che la storia di Gika è simile a quella di tante persone, perché “il regime del presidente Al-Sisi, tramite l’Nsa, la magistratura e l’esercito, minaccia e compie violenze sui cittadini per poter restare saldamente al potere”. Gika oggi ha 26 anni, continua il responsabile, “ma la sua storia inizia nel 2015 quando fu arrestato per la prima volta per aver partecipato a un protesta contro il governo. Dopo vari arresti e rilasci, infine è scattato l’obbligo di presentarsi ogni settimana dagli agenti dell’Nsa. Dopo l’ultimo appuntamento non è tornato a casa”. Gika, chiediamo, è stato quindi arrestato per il suo attivismo politico? “Non lo sappiamo”, replica il direttore dell’Enhr, “in Egitto nessuno sa perché viene arrestato e fatto sparire, le accuse sono inventate. E neanche si sa perché da un giorno all’altro la gente ricompare in un’aula di tribunale oppure viene rilasciata”. Come accaduto al dentista Mohamed Nasser, portato via dal suo studio, di fronte ai suoi pazienti, quattro anni fa e ricomparso proprio ieri.
A finire in questi “buchi neri” sono attivisti e dissidenti ma anche persone che non hanno fatto nulla, come Abdullah Bou Madien, 12 anni, portato via ancora in pigiama da casa sua nella notte del 31 dicembre del 2017 ad Al-Arisha, una città nel Sinai. La famiglia, riferisce Al-Attar, raccontò che i poliziotti fecero irruzione senza motivo portando via Abdullah e per sei mesi non se ne ebbero notizie. “Ricomparse nel luglio del 2018”, dopo essere stato trasferito varie volte dai centri dell’Nsa e la sede del 101° Battaglione militare di Al-Arisha. L’Enhr riporta che è stato accusato di appartenenza a un gruppo pericoloso e fabbricazione di esplosivi. Il giudice dispose infine il trasferimento in un centro detentivo per minori ma questo non avvenne mai e in carcere “Abdullah subì violenze psicologiche, abusi fisici e torture, sviluppando un forte shock”. Nel 2021, a due anni dall’ordine di rilascio del tribunale, Abdullah era ancora nella prigione di Al-Arisha dove “tentò addirittura il suicidio”. Trasferito di nuovo, “a oggi non si sa dove sia stato portato e quindi risulta di nuovo scomparso” dice Al-Attar.
Molti anche i casi di morte, l’ultimo denunciato ieri al Cairo: “si trattava di Ramy Hussein”, spiega il direttore dell’Enhr “e secondo il fratello è stato ucciso all’interno della stazione di polizia di Dar Al-Salam al Cairo a seguito di torture. Si sarebbe rifiutato di lavorare come ‘informatore’ per gli agenti”.
Storie che, conclude l’esperto, “ricordano il caso di Giulio Regeni. Ma l’Italia, così come l’Unione europea e gli Stati Uniti sono diventati parte del problema per via dei loro interessi in Egitto. La pressione mediatica e della società civile sul regime di Al-Sisi invece può contribuire a far ricomparire le persone e, forse, a far cambiare le cose”.
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