NAPOLI – È di sicuro, nel bene e nel male, l’artista del momento. Il rapper napoletano Emanuele Palumbo, in arte Geolier, ha impresso già nel suo nome le proprie origini. “Geolier” in francese vuol dire “secondino”, “guardia carceraria”, ma è anche un appellativo per definire gli abitanti del quartiere di Secondigliano, quell’aria periferica a nord di Napoli che il mondo ha imparato a conoscere non solo dalla cronaca, spesso nera, ma anche dal cinema, dalla tv e dalla musica. Emanuele, classe 2000, è cresciuto nel rione Gescal di Miano ascoltando musica di vario genere dai Co’Sang ai Club Dogo, da Michael Jackson a Rocco Hunt. È nel freestyle che si distingue agli esordi e in moltissimi imparano a conoscerlo e ad apprezzarlo con il solo nome di battesimo.
Il grande salto nel grande circo della musica nel 2018 con il singolo “P Secondigliano”, realizzato insieme a Nicola Siciliano. Nello stesso anno arrivano i singoli “Mercedes”, “Queen” e “Mexico”. Nel 2019 Geolier firma con la BFM Music, etichetta discografica indipendente fondata da Luchè insieme a Enzo Chiummariello, attuale manager di Geolier. Nell’ottobre dello stesso anno pubblica l’album di debutto “Emanuele”. Il disco si caratterizza per la presenza di alcune collaborazioni con vari artisti, tra cui lo stesso Luchè, Emis Killa, Guè, Lele Blade e MV Killa. Il successo è immediato e in meno di un anno il disco è certificato disco di platino dalla FIMI per le oltre 50.000 copie vendute a livello nazionale.
Prima di essere un cantante Emanuele frequentava ancora la scuola quando con il fratello si ritrova a lavorare in una fabbrica di lampadari. È qui, in una pausa di lavoro, si racconta che sia nato “P Secondigliano”. “La mia – confessa in un’intervista del 2019 a Noisey – è stata un’infanzia da grande. Ho fatto le mezze giornate a lavoro quando ancora andavo a scuola. Non ho mai chiesto soldi a mia mamma. Me li metteva lei sul comodino”. In questo Geolier è uguale ai tanti coetanei che sognano di fare musica, a dispetto del posto fisso, del giudizio dei genitori e di tutti quelli che ancora dicono “lascia perdere, non è un lavoro vero”. Come gli diceva suo padre Vincenzo, operaio che con la famiglia continua a vivere nel rione Gescal, per il quale era inconcepibile lasciare il lavoro in fabbrica. E sempre il padre, che Emanuele ha ringraziato per avergli insegnato tutto, dopo il successo nella serata cover gli ha detto. “il primo posto, vabbuò, ma hai mangiato?”.
Oggi Geolier ce l’ha fatta, è lui il vero mattatore del Festival di Sanremo ma tira diritto a testa bassa, senza montarsi la testa. A chi gli ha chiesto ieri, durante la consegna di una targa della città da parte del sindaco di Napoli Gaetano Manfredi, se la sua vita fosse cambiata, ha risposto: “E’ cambiata il giorno che sono uscito dalla fabbrica. Dopo non è cambiato nulla”. Il circo mediatico conta poco per Emanuele/Geolier perché il suo scopo, quello vero, quello importante, era solo uno portare nell’Olimpo della canzone italiana “il dialetto, anzi la lingua napoletana, al Festival e ci sono riuscito”. Il resto per l’artista 23enne conta poco. Ciò che conta è far capire che “la musica non è odio, la musica è unione, non divisione”.
Nel prossimo futuro, il Maradona della musica, come lo chiamano nel suo rione, ha già segnato un altro gol senza precedenti: a giugno sarà il primo artista in assoluto a esibirsi per tre concerti allo stadio Diego Armando Maradona di Napoli: due date, il 22 e il 23 giugno, hanno registrato il sold out in poche ore. Qualche posto resta ancora per l’ultima data aggiunta, quella del 21 giugno.
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